Lucania: quale futuro?
A quanto pare le grandi manovre sono cominciate; da domani
parte il tour de force dei movimentisti per provare a costruire una alternativa
credibile ad una classe dirigente, quella lucana, che ha fallito miseramente ed
è naufragata nei meandri degli scontrini raccattati per terra portando nelle
stanze della Procura l’intero Consiglio regionale di Basilicata.
La storia scriverà domani quelle che saranno le decisioni
delle aule giudiziarie, magari dopo anni di processi e rinvii, visto l’andazzo
della giustizia italiana, ma la sentenza vera, quella che conta, la daranno i
cittadini lucani nell’autunno prossimo quando saranno chiamati a rinnovare il
Consiglio Regionale sciolto a seguito delle dimissioni dei De Filippi.
Sapranno i lucani esprimere un giudizio sereno e futuristico
per il rilancio della Basilicata o la paura e soprattutto la rabbia per gli
ultimi avvenimenti giocheranno un ruolo decisivo al punto da spingere i lucani
a scelte avventate prese più per il desiderio di arrivare ad una giustizia
sommaria che ad un reale cambiamento di rotta?
Le elezioni politiche del marzo scorso, la grande crescita
del movimento cinque stelle, la loro incapacità di gestire una simile forza e
la conseguente nascita del Governo PD-PDL sono li a testimoniare e pendono come
una spada di Damocle del rischio che scelte frettolose che possono portare
quando si antepongono rancori e sentimenti di rabbia alla nostra capacità di
ragionamento; spero di non essere frainteso, nessuno più di me desidera spedire
a quel paese, magari con un bel calcio nel sedere, i protagonisti del
fallimento lucano, questo però non deve impedirmi di rimanere con i piedi per
terra e provare a ragionare sulle prospettive future della Basilicata e sulla
nascita di una nuova classe dirigente.
La situazione in cui versa la nostra regione non è
certamente rosea; ai temi ambientali fortemente saliti alla ribalta negli
ultimi anni con lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi della Val d’Agri e
con la sciagurata politica ambientale legata alle vicende della raccolta e
incenerimento dei rifiuti del melfese e della zona del Vulture ad opera di una
plurichiacchierata e indagata imprenditoria del settore, vanno aggiunti, ma non
per questo in secondo piano, i tanti problemi legati al lavoro e all’economia
reale della Lucania, basata sullo sfruttamento agricolo del territorio che mai
è riuscito a decollare veramente, frenato in tutti i modi possibili ed
immaginabili da una classe politica che sull’agricoltura ha costruito un
sistema di assistenzialismo clientelare ad esclusivo appannaggio di pochi fortunati facenti parte della casta
degli eletti. Uguale discorso vale per un altro settore di vitale importanza,
quello del turismo, che qualcuno ha volutamente mantenuto limitato al fine di
poter allargare anche in quel campo il proprio raggio d’azione di natura
clientelare.
Può bastare per rimettere ordine nella politica lucana la
genuinità dei movimenti o l’antagonismo qualunquista di coloro che puntano alla
distruzione totale per costruire un nuovo sistema di cui neanche loro ancora
non riescono ad immaginare forma e sostanza?
Mille volte abbiamo detto e sostenuto che la partitocrazia
ha fallito e come tale non ha più alcuna voce in capitolo ne diritto per poter
fare da traino al cambiamento; quello che non va però dimenticato è il fatto
che se pure i dirigenti dei partiti hanno tradito il mandato loro affidato, i
primi ad essere traditi sono coloro stessi che glie lo avevano affidato; in
poche parole coloro che hanno si frequentato i partiti negli ultimi decenni, ma
che non hanno avuto fino in fondo la capacità di controllo su coloro cui
avevano delegato la propria rappresentanza divenendo a loro volta controllati.
Se un tempo gli eletti alle cariche istituzionali dovevano
dare conto del loro operato alle sezioni di partito che li avevano eletti, oggi
si assiste al paradosso che stranamente accade proprio il contrario.
Non è ipotizzabile una rimessa in ordine della politica
lucana se non si parte dal rimettere in ordine le regole della democrazia.
La tanta auspicata democrazia diretta, quella del web per
intenderci, se da una parte può sembrare una bellissima cosa, dall’altra
dimostra tutti i sui limiti e rischia di trasformarsi in anarchia se non è
supportata da regole certe. Stessa cosa vale per la democrazia dei movimenti
che vale fino a quando gli interessi rimangono comuni. Sappiamo bene che il
movimentismo si aggrega su temi specifici e limitati ai vari settori ma che
spesso entrano in contrasto tra loro quando gli interessi prendono traiettorie
divaricanti. Se oggi l’ambiente, l’agricoltura, il lavoro, possono essere
riuniti sotto un unico obbiettivo perché entrambi sono stati maltrattati dalla
classe politica, le loro strade sono necessariamente destinate a dividersi nel
momento in cui, passata l’emergenza, ci si troverà a discutere per far
collimare i vari interessi.
Ecco perché ritengo che da soli i movimenti non possono
essere la risposta alla domanda di cambiamento, ma che ci sia bisogno di una
capacità e soprattutto di una volontà di costruire il cambiamento partendo da
posizioni che mirino all’incontro tra la varie forze sociali senza arroccamenti
pregiudiziali su posizioni insostenibili e dannose per una qualunque delle
classi sociali o di settore presenti in Basilicata.
Vi sono nelle formazioni politiche lucane, quelle
tradizionali per intenderci, forze fresche e menti anch’esse tradite e deluse
dalla politica degli ultimi anni; cercare di tenere fuori il contributo di tali
potenzialità dal futuro politico lucano sarebbe un errore gravissimo. L’atteggiamento
preso dai movimenti che puntano a creare l’alternativa a me pare vada in questa
direzione, che io ritengo dannosa; la Lucania oggi ha bisogno di soluzioni che
aggreghino e non di barricate ideologiche, oltretutto tra persone che hanno lo
stesso modo di pensare, solo per partito preso o per desiderio di giustizia
sommaria anche nei confronti di incolpevoli persone anch’esse tradite.
Ricostruire è possibile ma occorre che ognuno di noi faccia
la sua parte con decisione ma anche con grande disponibilità a raccogliere il
contributo di tutti per dare alla Basilicata l’impulso necessario a farla
divenire quella terra dal bene comune di cui non solo ha grande volontà ma
soprattutto ha grandi capacità e risorse per poterla diventare.
Tonino Ditaranto